In quel tempo, entrato Gesù in Cafàrnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava e diceva: «Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente». Gli disse: «Verrò e lo guarirò». Ma il centurione rispose: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Pur essendo anch’io un subalterno, ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa». Ascoltandolo, Gesù si meravigliò e disse a quelli che lo seguivano: «In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande! Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli». (Mt 8, 5-11)
Il Signore ama l’imprevedibile coerenza degli stranieri. Salomone non badò a spese per erigere il grandioso tempio di Gerusalemme, conservando la coscienza retta, perché gli stucchi e i marmi non sono tutto. La ricchezza di una chiesa sono le persone. Salomone fu pronto ad accogliere lo straniero che si fosse accostato al tempio, avendo udito di un grande luogo in cui la presenza dello Spirito di Dio era tangibile. Spesso questi stranieri hanno un impatto assai positivo, perché abbattono il pericolo dell’abitudine nelle pratiche religiose. E’ un pericolo sempre in agguato. Con l’abitudine, “le cose della religione” diventano un mezzo per proteggersi, difendersi da Dio, mettersi al riparo dalle sue esigenze. Quando si pratica il culto senza gioia, quando si diventa degli habituès, dei disincantati della routine, quando il rapporto con Dio è ricoperto dall’incrostazioni delle osservanze formali, dei riti, dei gesti tradizionali, si rischia di formare delle comunità che si addormentano nella sicurezza e nella soddisfazione, che degradano in “quieto vivere”. Ci si abitua ad aver fede, senza neanche domandarsi se si crede veramente. C’è bisogno che compaia l’estraneo, il diverso. Con la sua freschezza, l’originalità, perfino l’ingenuità. Con tutta la meraviglia che porta la scoperta. Spesso pongono domande scottanti, non addomesticate, senza risposte già incorporate e fanno saltare gli schematismi arrugginiti. Il Vangelo non ha bisogno di professionisti della religione, ma di dilettanti inesperti, capaci di vedere con gli occhi della fede, di muoversi con slanci inattesi e esplorazioni profonde di quanto ci è famigliare.
Gesù ha certamente concesso a questo centurione di fare parte degli eletti, senza guardare alle etichette. Lui sa cosa c’è nel cuore dell’uomo. Quando questo straniero infrange tutte le barriere dell’educazione e dell’ambiente, non può trattenersi dal gridare la sua ammirazione e attuare un paragone decisamente sfavorevole ai professionisti della religione ebraica. Strano e inquietante che Gesù nel vangelo rimproveri, a causa della poca o assente fede, anzi tutto i suoi discepoli: “Come mai non avete ancora fede?..”
(Mc 4,40). Le uniche due volte in cui lusinga chiaramente la fede di qualcuno, lo fa riguardo a degli stranieri: “Donna grande è la tua fede!” (Mt 15, 28). Era una Cananea. Gesù, va oltre le etichette ed è interessato alla fede “sorprendente”, che determina qualcosa di insolito e imprevedibile. Magari la conversione.