Martedì 25 giugno 2024

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi.
Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti.
Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che vi entrano. Quanto stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e pochi sono quelli che la trovano!» (Matteo 7,6.12-14).


Davide, guerrigliero e capobanda, subì una caccia spietata e ingiusta. Sorprese il re Saul, suo nemico acerrimo, nel sonno notturno. Non ascoltò il consiglio assassino di Abisài e si limitò a prendere la lancia e la brocca del re. A distanza, invitò poi i servi di Saul a recuperare quegli oggetti. Ogni uomo possiede già una abbondante dose di aggressività. Se poi crede di obbedire a Dio, la sua ferocia raggiunge vertici crudeli. Davide intuisce che quella è un’ottima occasione per indurre il nemico a riflettere e salvargli la vita del corpo e dell’anima. Davide comprende che il nostro nemico non è nemico di Dio, perché Dio non ha nemici. Dio non tratta da nemici neppure coloro che si dichiarano contro di lui. Per Davide, Saul è anzi tutto un re, unto col sacro olio, quindi un consacrato del Signore.

In un certo senso, in ogni persona umana è impresso un sigillo che la rende “cosa sacra”, realtà misteriosa, e quindi intoccabile, non profanabile. Quando ci si vanta di aver schiacciato l’avversario sotto un cumulo di disprezzo e di accuse spietate (gli hai scaraventato addosso manciate di fango), non hai fatto altro che offuscare la gloria di Dio. Il modo migliore di disarmare l’avversario è rendergli le sue armi quando sono in nostro possesso. Così togliamo terreno all’odio. 

Giovannino Guareschi, creatore del famoso personaggio di don Camillo, fu protagonista di una esperienza drammatica, vissuta per diversi anni nei campi di concentramento nazionalsocialisti. Ritornò a casa irriconoscibile, dimagrito fino all’inverosimile. Quarantasei chili di ossa e un po’ di pelle. Eppure sul suo volto la moglie colse una strana espressione, una specie di luce misteriosa, un lampo di orgoglio, un sorriso sia pure dolente di trionfo, tanto che non poté trattenersi dall’osservare: «Sembra che hai vinto la guerra!». E lui replicò, sottovoce, in tono famigliare: «Sì, mi sento un vincitore perché in tutto questo tempo sono riuscito a non odiare nessuno». Guareschi aveva reso la lancia ai crudeli sorveglianti del Lager.

 

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