In quel tempo, Pietro prese a dire a Gesù: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito».
Gesù gli rispose: «In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà. Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi saranno primi» (Marco 10,28-31).
Gesù aveva placato gli animi dei suoi discepoli, che dubitavano della possibilità di salvarsi avendo ancora almeno qualche bene terreno. Con le sue parole, a commento del comportamento dell’uomo ricco che non si era deciso a lasciare le ricchezze per darle ai poveri e seguirlo, Gesù li aveva messi in guardia del pericolo delle ricchezze e aveva spiegato loro che affidandosi all’amore di Dio avviene veramente il distacco dai beni terreni, che passano in secondo piano, e il cuore dell’uomo trova in Dio la piena felicità, perché tutto è possibile a Dio (cfr. Gn 18,14; Giob 42,2). Con la grazia di Dio il cuore dell’uomo riordina tutta la trama delle sue relazioni con i propri simili e le cose e diventa pienamente libero per amare Dio nel contesto della propria vocazione personale.
A questo punto Pietro sembra chiedere a Gesù qual è in concreto l’importanza dell’aver lasciato proprio tutto per seguirlo. La risposta di Gesù è puntuale, concreta e molto incoraggiante: «Non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà. Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi saranno primi». Teniamo sempre presente che Gesù con queste parole insegna e prepara innanzitutto lo stato d’animo necessario per seguirlo da veri suoi discepoli.
La sua effettiva sequela comporta innanzitutto la disponibilità interiore, la pronta decisione a riporre in Lui tutta la propria ragion d’essere, con la convinzione che il lavoro, gli affetti, gli interessi, la vasta gamma delle attività inerenti al proprio stato di vita, da quelle personali-familiari, culturali- professionali, fino a quelle ludico-sportive e a quant’altre lecitamente possibili, avranno sempre Gesù Cristo come loro centro unificatore. Si tratterà non certo di una imposizione sofferta o subita per coerenza etico-volontaristica, bensì di una risposta gioiosa di amore a Gesù nostro Signore e Salvatore. Egli ci chiama a seguirlo, nei vari stati di vita, comunicandoci la novità e la purezza dell’amore del suo Cuore per la nostra piena realizzazione, anche quando si rende necessario il martirio sotto le varie forme di persecuzione. Siamo infatti suoi discepoli in un mondo che non lo conosce o non vuole accettarlo, più o meno colpevolmente.
La risposta che noi diamo è sempre il servizio gioioso e generoso, con il dono della vita per la nostra e altrui salvezza. E il Maestro ci assicura che non perderemo la ricompensa, anzi avremo il centuplo quaggiù e l’eternità assicurata. L’aveva capito bene l’Apostolo delle genti, San Paolo, che nei vari contesti dell’annuncio del Vangelo si lasciava guidare dalle parole del Signore Gesù, lasciandole come importante consegna: «Vi è più gioia nel dare che nel ricevere» (At 20,18-35).
Il Santo Padre Francesco avverte catechisti e sacerdoti, sin dall’inizio del suo pontificato, di evitare l’accidia egoista, che paralizza la gioiosa risposta missionaria alla chiamata dell’amore di Dio: «Quando abbiamo più bisogno di un dinamismo missionario che porti sale e luce al mondo, molti laici temono che qualcuno li inviti a realizzare qualche compito apostolico, e cercano di fuggire da qualsiasi impegno che possa togliere loro il tempo libero. Oggi, per esempio, è diventato molto difficile trovare catechisti preparati per le parrocchie e che perseverino nel loro compito per diversi anni. Ma qualcosa di simile accade con i sacerdoti, che si preoccupano con ossessione del loro tempo personale. Questo si deve frequentemente al fatto che le persone sentono il bisogno imperioso di preservare i loro spazi di autonomia, come se un compito di evangelizzazione fosse un veleno pericoloso invece che una gioiosa risposta all’amore di Dio che ci convoca alla missione e ci rende completi e fecondi. Alcuni fanno resistenza a provare fino in fondo il gusto della missione e rimangono avvolti in un’accidia paralizzante» (Esortazione apostolica Evangelii gaudium, sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale, del 24 novembre 2013, n. 81).