Mercoledì 1 maggio 2024

In quel tempo, Gesù venuto nella sua patria, insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: «Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi? Non è costui il figlio del falegname? E sua madre, non si chiama Maria? E i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle, non stanno tutte da noi? Da dove gli vengono allora tutte queste cose?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua». E lì, a causa della loro incredulità, non fece molti prodigi (Matteo 13,54-58).


Oggi è memoria liturgica obbligatoria di san Giuseppe artigiano, istituita, con lungimiranza, dal venerabile Papa Pio XII (1939-1958) il 1° maggio 1955. Papa Francesco, nella sua Lettera apostolica Patris Corde per il 150° anniversario di san Giuseppe patrono della Chiesa universale, ci ha invitati caldamente ad implorare «San Giuseppe lavoratore perché possiamo trovare strade che ci impegnino a dire: nessun giovane, nessuna persona, nessuna famiglia senza lavoro!». È proprio quello che, fra l’altro, intende fare la Chiesa con la sua dottrina sociale.

Il lavoro fu stabilito da Dio quando ingiunse all’uomo di dominare la terra, facendolo suo collaboratore nella realizzazione della creazione. Era un lavoro piacevole ed elevante alla portata di tutti. Ma, a causa del peccato originale, divenne faticoso, pesante e ingrato: «All’uomo disse: “Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato: “Non devi mangiarne”, maledetto il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te e mangerai l’erba dei campi. Con il sudore del tuo volto mangerai il pane, finché non ritornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere ritornerai!”» (Gen 3,17-19).

Anche il lavoro doveva essere redento. Ci ha pensato Dio stesso: il Figlio di Dio si fece uomo per salvarci dal peccato e riacquistarci il Paradiso abilitandoci a saper fare bene, da salvati, quanto dovevamo fare, dunque anche il lavoro. Perciò noi cristiani, rinati a vita nuova in Cristo, abbiamo redento anche il lavoro, dalla sua decadenza nella schiavitù alla sua ritrovata libertà e operosità nelle istituzioni sociali della famiglia e in quelle a essa alleate e non contrapposte a causa di pressioni politico-culturali avverse. Queste pressioni hanno causato ancora una volta problemi al lavoro, al punto da renderlo precario o talora inesistente, inducendo alla deresponsabilizzazione e alla noia di vivere.

Veramente dobbiamo chiedere a san Giuseppe, umile artigiano, custode della santa Famiglia, di aiutarci a imparare da Gesù, il Figlio di Dio affidato alle sue cure nella bottega di Nazaret, la spiritualità del lavoro. Così la fatica umana torna a essere, come al tempo delle cattedrali, non più opera di schiavi, ma di uomini e donne liberi da ipoteche ideologico-politiche e ricchi di gioia e speranza nel costruire. Sì, costruire la bella cattedrale della Creazione per Cristo Re, il Buon Pastore, e Maria Regina: nell’esperienza del riposo dello spirito grazie alla Liturgia eucaristica domenicale (cfr. Papa Francesco, Lettera enciclica Laudato si’, del 24 maggio 2015, sulla cura della casa comune, nn. 236-237 e 241).

Comments are closed.