Mercoledì 19 febbraio 2025

In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli giunsero a Betsàida, e gli condussero un cieco, pregandolo di toccarlo. Allora prese il cieco per mano, lo condusse fuori dal villaggio e, dopo avergli messo della saliva sugli occhi, gli impose le mani e gli chiese: «Vedi qualcosa?». Quello, alzando gli occhi, diceva: «Vedo la gente, perché vedo come degli alberi che camminano». Allora gli impose di nuovo le mani sugli occhi ed egli ci vide chiaramente, fu guarito e da lontano vedeva distintamente ogni cosa. E lo rimandò a casa sua dicendo: «Non entrare nemmeno nel villaggio». (Mc 8, 22-26)


L’ambientazione del miracolo a Betsaida ne denota l’attendibilità storica. L’imposizione delle mani e l’uso della saliva rientravano come elementi caratteristici della letteratura taumaturgica ellenista, con riferimento ad una specie di forza che fluiva dal guaritore. Il fatto che Gesù conduca fuori dal villaggio il cieco, esclude da parte sua ogni ricorso a gesti magici. Egli non mira a dare spettacolo come i ciarlatani. Comunque questa volta Gesù non guarisce con la parola ma con l’imposizione delle mani. L’evangelista Marco riporta fedelmente la tradizione, pienamente convinto del potere soprannaturale di Gesù, che non ha nulla a che vedere con la magia. Cristo prende il cieco per mano e lo conduce lui solo. Già in altre occasioni aveva detto ai suoi discepoli di non avere altri maestri fuorché Lui solo (Mt 23, 8). Coloro che si arrogano il diritto di far luce agli altri sono come i riflettori colorati da palcoscenico, che fanno la scena ora rossa, ora verde ora gialla. Quando chiediamo consiglio agli altri è la stessa cosa, riceviamo risposte sempre diverse su cosa è bene e cosa è male. Cristo, Lui solo, vuole illuminare il nostro cuore con il sole della conoscenza pura, l’unica che ci rende testimonianza sopra tutti e tutto, perché è di Lui “l’essere via, verità e vita”.

La guarigione del cieco avviene progressivamente. E’ un simbolo della lenta e sequenziale comprensione dell’identità misteriosa di Gesù da parte dei discepoli. L’accompagnamento dalla cecità alla visione chiara, avviene attraverso un cammino graduale, attraverso una visione prima confusa e poi sempre più nitida. Colpisce che il miracolo, la visione della fede, non sia come una bacchetta magica, ma esprima una lenta azione pedagogica. E’ così per la fede. Non si acquisisce in un colpo solo. E’ un cammino. Così è per l’emorroissa; così è per il padre del ragazzo posseduto da uno spirito muto, che incontreremo nel cap.9 «Credo, aiutami nella mia incredulità» (Mc 9,24). E’ la pedagogia del Signore, che non si impone, che mostra una infinita pazienza e attenzione ai nostri tempi. Basta pensare a Pietro e Tommaso. Secondo Pavel Florenskij ci sono due principale tipi di conoscenze: delle cose e delle persone. La prima cosa che ci interessa sono le cose intorno a noi; solo più tardi ci rendiamo conto della presenza delle persone e cerchiamo di individuare i loro pensieri e i loro sentimenti, chi essi siano realmente. Purtroppo la società attuale, tecnica ed economica, ostacola questa crescita. Nella mentalità informatica gli uomini sono davvero “come alberi”, anzi come numeri: senza vita. I giovani risentono di questa aridità culturale, e cercano calore nell’amicizia e nel gruppo. Anche chi vive nella Chiesa cerca d’incontrare gli altri nei gruppi, nei movimenti, cerca il contatto con persone vive. La relazione viva è ciò che l’uomo vuole soprattutto. La relazione viva dobbiamo offrirla noi cristiani, là dove ci troviamo, in famiglia, nel lavoro, nei gruppi religiosi e in ogni momento della vita ordinaria.

 

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