Domenica 26 gennaio 2025. L’incredulità dei concittadini di Gesù ci interpella: crediamo davvero che Egli è il nostro Salvatore?
di Michele Brambilla
Introducendo l’Angelus del 26 gennaio, Papa Francesco sottolinea che «l’Evangelista Luca in questa domenica ci presenta Gesù nella sinagoga di Nazaret, il paese dove era cresciuto. Gesù legge il passo del profeta Isaia che annuncia la missione evangelizzatrice e liberatrice del Messia e poi, nel silenzio generale, dice: “Oggi questa Scrittura si è realizzata” (cfr Lc 4,21)».
Il Papa invita ad immedesimarsi nello sconcerto degli abitanti di quel piccolo villaggio della Galilea, «i quali lo conoscevano come il figlio del falegname Giuseppe e non avrebbero mai immaginato che Egli potesse presentarsi come il Messia». «Eppure è proprio così: Gesù proclama che, con la sua presenza, è giunto “l’anno di grazia del Signore”», come annunciavano le profezie di Isaia. Cristo «è il lieto annuncio per tutti e in modo speciale per i poveri, per i prigionieri, per i ciechi, per gli oppressi».
Come evidenzia il Pontefice, «quel giorno, a Nazaret, Gesù pose i suoi interlocutori di fronte» ad una domanda fondamentale, che avrebbe rivolto anche ai suoi discepoli: «E voi chi dite che io sia?» (Mc 8,29). Il Vangelo «ci dice che i nazaretani non riuscirono a riconoscere in Gesù il consacrato del Signore. Pensavano di conoscerlo troppo bene e questo, invece di facilitare l’apertura della loro mente e del loro cuore, li bloccava, come un velo che oscura la luce».
«Anche noi siamo interpellati dalla presenza e dalle parole di Gesù; anche noi siamo chiamati a riconoscere in Lui il Figlio di Dio, il nostro Salvatore. Ma può capitarci, come allora ai suoi compaesani, di pensare che noi lo conosciamo già, che di Lui sappiamo già tutto», dato che «siamo cresciuti con Lui, a scuola, in parrocchia, al catechismo, in un Paese di cultura cattolica». La fede, la conoscenza della dottrina cattolica, sono doni che devono sempre essere approfonditi.
Francesco si sofferma a lungo sul conflitto in Sudan, «iniziato nell’aprile 2023», che «sta causando la più grave crisi umanitaria nel mondo». Chiede alle parti di tornare al negoziato e alla comunità internazionale di avere maggiore attenzione per il Sudan. Il Papa denuncia anche gli scontri armati in Colombia, che in settimana «hanno provocato tante vittime civili e più di trentamila sfollati». Pensando a tutte le guerre in corso, il Santo Padre accoglie, come tradizione, la Carovana della Pace dell’Azione Cattolica e chiede al ragazzo dell’AC romana che lo affianca alla finestra durante la preghiera dell’Angelus di ripetere l’invito a far tacere le armi.
Il 27 gennaio «ricorre la Giornata Internazionale di Commemorazione in memoria delle vittime dell’Olocausto: ottant’anni dalla liberazione del Campo di concentramento di Auschwitz. L’orrore dello sterminio di milioni di persone ebree e di altre fedi avvenuto in quegli anni non può essere né dimenticato né negato». Ricordando la sua storica amicizia con la poetessa ebrea Edith Bruck, sopravvissuta all’Olocausto, Francesco accenna anche ai martiri cristiani dei lager e condanna con forza «la piaga dell’antisemitismo, insieme ad ogni forma di discriminazione e persecuzione religiosa. Costruiamo insieme un mondo più fraterno, più giusto, educando i giovani ad avere un cuore aperto a tutti, nella logica della fraternità, del perdono e della pace».
Sono i giorni in cui a Roma si celebra il Giubileo dei giornalisti: siano essi per primi «narratori di speranza».