“Omicidio rituale”, ebraismo e cristianesimo

di don Pietro Cantoni

(Il Timone, n.45, luglio-agosto 2005, pp. 52-53)

Nella lunga storia dell’antigiudaismo – e in quella più recente e tragica dell’antisemitismo a base razzista – l’”accusa del sangue” costituisce un capitolo non marginale. Secondo i suoi sostenitori, gli ebrei praticherebbero un rito segreto che comporta l’assunzione di sangue cristiano e quindi la necessità di procurarselo attraverso omicidi, soprattutto di bambini. Le varianti sono molte, ma un elemento ricorrente è costituito dalla necessità di sangue cristiano e quindi di battezzati, innocente e quindi di bambini, per usufruire in modo magico della potenza divina legata al sangue di Cristo. Sul punto la letteratura è sterminata. Si sentiva però la necessità di una presentazione sintetica di questo “argomento” che, accanto a quello dei Protocolli dei Savi di Sion (un falso risalente, nella sua prima edizione, al 1905), ha nutrito e continua a nutrire la giudeofobia in tutte le sue forme. A questa lacuna ha posto fine Massimo Introvigne con il suo libro Cattolici, antisemitismo e sangue. Il mito dell’omicidio rituale che, fra l’altro, riporta un documento che gioca nella controversia un ruolo di grandissima importanza: il “voto” (cioè la perizia) redatto dal cardinale Lorenzo Ganganelli, che poi diventerà Papa con il nome di Clemente XIV, per la Congregazione del Sant’Uffizio, redatto in occasione dell’accusa di omicidio rituale ai danni di una comunità ebraica in Polonia nel 1759. Il documento fu scritto originariamente in lingua italiana e mai pubblicato in Italia (mentre non mancano edizioni tedesche, francesi e inglesi).

L’accusa di “omicidio rituale” risulta improbabile “a priori” per due sostanziali ragioni. Anzitutto perché la Bibbia ebraica proibisce in termini tassativi l’uso del sangue di animali (e a maggior ragione di uomini) per uso alimentare e tale proibizione è recepita e accentuata dal Talmud. In secondo luogo perché l’accusa dell’”omicidio rituale” riposa sulla convinzione che gli ebrei si sforzano per questa via di accedere ai benefici redentivi del sangue di Gesù, benefici trasmessi attraverso l’assunzione di sangue di bambini cristiani battezzati. Si tratterebbe di un’ammissione della verità del cristianesimo che contrasta radicalmente con i fondamenti del credo giudaico in quanto tale.

C’è poi il problema del coinvolgimento del magistero cattolico che si presenta come contraddittorio. Non però allo stesso livello.

Abbiamo infatti una lunga serie di pronunciamenti papali che mettono in guardia dal prestar fede a simili accuse. Papa Martino V (1368-1431) per es. con bolla del 20 febbraio 1422 condanna quanti “con falsi pretesti e argomentazioni [fictis occasionibus et coloribus] […] pretendono che gli ebrei mescolino sangue [cristiano] alle loro azzime”. Nella stessa linea abbiamo anche Innocenzo IV (1195-1254), con bolle del 28 maggio 1247 e del 5 luglio 1247, con un breve del 18 agosto 1247 e una bolla del 25 settembre 1253; il beato Gregorio X (1210-1276) con un pronunciamento del 7 ottobre 1272; il già citato Martino V (1368-1431), con una bolla del 20 febbraio 1422; Nicola V (1397-1455), con una bolla del 2 novembre 1447; Sisto IV (1414-1484), con una bolla del 20 giugno 1478; Paolo III (1468-1549), con bolla del 12 maggio 1540; Clemente XIII (1693-1769), con bolle del 9 febbraio 1760 e del 21 marzo 1763.

È soprattutto a partire dalla Rivoluzione Francese e fino agli anni trenta del ‘900 – quando l’affacciarsi di una nuova forma di giudeofobia che si fonda nel razzismo e che si presenta come solidale con un’ideologia ostile anche alla fede cristiana induce il magistero a prendere esplicitamente posizione contro l’antisemitismo – che notiamo negli ambienti ecclesiastici cattolici, anche ad alti livelli, il diffondersi della persuasione sulla verità dell’accusa di “omicidio rituale”. Una persuasione che però non si traduce mai in atti di magistero. La presenza dei pronunciamenti sopra ricordati avrebbe infatti reso assai problematica una tale posizione.

È vero che lo stesso Ganganelli considera come veri due casi per rispetto nei confronti di una permissione di culto non molto lontana nel tempo: quelli di Simone di Trento e di Andrea di Rinn, tuttavia bisogna rilevare che:

a) la permissione del culto non coincide con la dichiarazione solenne del Magistero in materia. Per esempio la permissione del culto dell’Immacolata Concezione (1477) precede di molto tempo la definizione dogmatica solenne (1854).

b) È dottrina comune che l’infallibilità del supremo Magistero della Chiesa è coinvolta solo nella canonizzazione e non nella beatificazione.

c) I casi in oggetto poi riguardano solo culti locali, non estesi alla Chiesa universale (l’inclusione di Simone di Trento nel Martirologio Romano non muta la natura del culto che rimane locale e non ha ancora il significato che prenderà solo più tardi), il che rende ancor più debole il loro valore dogmatico.

Nel 1965 per Trento e nel 1984 per Rinn i rispettivi culti nei confronti di Simone e Andrea saranno soppressi dagli ordinari locali con il consenso di Roma. La nuova edizione del Martirologio Romano del 2001 non reca ovviamente più traccia di Simone di Trento.

A ulteriore testimonianza della complessità del problema bisogna considerare che il Talmud è stato oggetto di attacchi anche da parte ebraica, soprattutto ad opera di esponenti dell’Haskalah, l’illuminismo ebraico, mentre ci sono stati cristiani che lo hanno appassionatamente difeso ed hanno anzi creduto di trovare in esso una miniera di conferme della verità del cristianesimo. Una cosa tuttavia è certa: nel Talmud del “rito del sangue” non c’è traccia.

Beninteso non che nel complesso della letteratura ebraica manchino passaggi che suonino offensivi per la fede cristiana. Jacob Neusner, rabbino e scienziato competente e onesto, non esita a riconoscere che se “Il cristianesimo rappresentò il giudaismo in modo […] repellente” (Disputa immaginaria tra un rabbino e Gesù, Piemme 1996, p. 23) “il giudaismo non ha riservato al cristianesimo un trattamento migliore” (Ibid. nota 1). Bisogna riconoscere però che la pratica dell’insulto nei confronti dell’altra parte fu appunto reciproca.

Certamente dal punto di vista storico – pur tenendo conto della problematicità di confessioni estorte con la tortura o comunque in un clima di forte pressione psicologico-culturale – si può legittimamente avanzare il dubbio che in mezzo a tanto fumo qualche pezzo di arrosto pur ci sia. Si tratterebbe però allora di episodi da ascrivere o a psicopatici e pervertiti sessuali – presenti purtroppo in tutte le epoche e tra i componenti di tutte le comunità religiose – o a deviazioni di carattere ideologico, il cui legame con i fondamenti dell’ebraismo sarebbero comunque conflittuali. Attribuire allora all’ebraismo tout court eventuali crimini commessi da gruppi di tal natura sarebbe un po’ come ascrivere al cattolicesimo i crimini del nazional-socialismo appoggiandosi al fatto che Adolf Hitler fu battezzato nella religione cattolica.

Bibliografia

Massimo Introvigne, Cattolici, antisemitismo e sangue. Il mito dell’omicidio rituale, Sugarco, 2004

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