LA ROCCIA – Il Magistero del Papa
– Negli ultimi anni, soprattutto a seguito di un memorabile discorso alla Curia Romana di Papa Benedetto XVI (2005-2013) per gli auguri natalizi – tenuto il 22 dicembre del 2005, a pochi mesi dalla sua elezione a Romano Pontefice -, sono stati pubblicati diversi libri sul significato del magistero della Chiesa, sulla differenza tra magistero ordinario e straordinario, sul problema della continuità di dottrina con il magistero precedente, sull’infallibilità o meno di questo insegnamento, sul significato del concetto di Tradizione e sulla corretta ricezione da parte dei fedeli.
Uno degli ultimi pubblicati, frutto di decenni di ricerca, è quello di Don Pietro Cantoni, Oralità e Magistero. Il problema teologico del magistero ordinario, D’Ettoris Editori, Crotone 2016. Una precedente fatica dello stesso autore, pubblicata nel 2011, si occupava della giusta interpretazione del magistero, soprattutto relativamente al Concilio Vaticano II, ed era intitolata: Riforma nella continuità. Vaticano II e anticonciliarismo, Sugarco, Milano 2011.
Vista l’importanza che ha assunto il tema del magistero del Papa, e dei Vescovi in comunione con lui, nel dibattito teologico, e poiché una parte del cattolicesimo odierno afferma o lascia intendere, per alcuni insegnamenti di Papa Francesco, una rottura con la Tradizione e il magistero precedente della Chiesa, crediamo necessario soffermarci sull’ultimo libro pubblicato, Oralità e Magistero, per poterci chiarire le idee.
Don Cantoni propone un cambiamento di paradigma (p.10), cioè un rimettere al centro del dibattito teologico – circa la corretta interpretazione del magistero del Concilio Vaticano II e sull’infallibilità del magistero ordinario e straordinario -, la parola parlata prima che scritta, com’è nell’evidenza delle cose. Prima dei testi della Sacra Scrittura o dei documenti scritti della Tradizione c’è una parola, detta oralmente e solo dopo messa per iscritto, che rimanda a un Parlante, il quale deve essere vivo e contemporaneo perché viva e attuale è la parola della Scrittura e della Tradizione, e non può essere lettera morta. Non solo. Questo Parlante è un’autorità vivente, che va seguita e rispettata. In pratica è la Chiesa nella figura del Papa, Vescovo di Roma, che esercita il suo magistero, organo dell’autentica trasmissione della fede. La Chiesa, infatti, è la Tradizione vivente che, quando insegna, comunica con la stessa autorità che le deriva da Cristo. Il magistero, quindi, non fa riferimento anzitutto a un libro, la Scrittura, o una Tradizione, composta da una serie di documenti scritti, pur importanti, da aggiungere alla stessa Scrittura, ma è un Corpo vivo che ha un Capo, il quale parla oggi con la stessa autorità concessa da Dio (cf. Mt 16,13-20).
Con quest’osservazione sulla parola parlata, che sembrerebbe scontata ma non la è, l’autore, in dieci capitoli, cerca di focalizzare il problema del magistero ordinario e anche della Tradizione, sostenendo che l’infallibilità dei pronunciamenti pontifici non è solo quando viene solennemente definita una dottrina ma anche – e soprattutto – quando il Papa e i Vescovi in comunione con lui predicano il Vangelo e lo spiegano quotidianamente con autorevolezza e inerranza. Tale è il magistero ordinario, che è la maggior parte dell’insegnamento del Papa. Infatti, come dice il Catechismo della Chiesa Cattolica, il Papa fruisce dell’infallibilità tutte le volte che, «quale supremo Pastore e Dottore di tutti i fedeli, che conferma nella fede i suoi fratelli, proclama con un atto definitivo una dottrina riguardante la fede o la morale. […] L’infallibilità promessa alla Chiesa risiede pure nel Corpo episcopale, quando questi esercita il supremo Magistero col Successore di Pietro» (CCC 891). Ma è necessario prestare un assenso religioso della volontà e dell’intelletto anche al magistero ordinario (encicliche, omelie, udienze, discorsi, pronunciamenti ecc.) rispettando sempre l’autorità pontificia senza mai degenerare in un dissenso pubblico che comprometterebbe la comunione ecclesiale (cf. Codice di Diritto Canonico, can. 752).
Don Cantoni, nel capitolo IX, intitolato La “tradizione vivente” (219-239), approfondisce l’importanza dell’oralità del magistero, che pur si esprime con dei documenti scritti, notando come la qualifica di vivente è decisiva. All’interno delle controversie gianseniste (XVII sec.), passando per la scuola teologica Romana (XIX sec.), fino al Cardinale Ratzinger, la teologia della Tradizione ci insegna che la Rivelazione cristiana è sempre più estesa della Sacra Scrittura e che la Rivelazione del Nuovo Testamento ha come carattere specifico lo Spirito che scrive non su carta ma nei cuori degli uomini. Quindi, l’evento Cristo deve essere attualmente presente, perciò vivente, e questo è reso possibile da una presenza autoritativa del suo Spirito, che assiste il suo corpo che è la Chiesa. Quest’autorità vivente è il magistero ecclesiale (cf. Oralità e Magistero, 238).
Per la diffusione della fede e, quindi, per la ricezione del magistero oggi nella Chiesa, si comprende come un libro scritto e i documenti stampati siano perciò insufficienti e sia necessaria un’oralità, che va oltre la “Tradizione” intesa come unico riferimento ideale – che rimarrebbe morta negli scritti se non interpretata da una autorità viva -, oralità incarnata in una parola vera che solo la Chiesa Cattolica può garantire per mandato di Gesù Cristo.