In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto». (Lc 1, 39-45)
La visita di Maria alla cugina Elisabetta non è dovuto al normale “farsi vedere” dai parenti, neanche considerando i sei mesi di gravidanza della cugina. Il momento che richiede assistenza è il parto e gli immediati mesi a seguire. Ma in quest’incontro vi è tanto di soprannaturale. Il protagonista vero è Dio che ha reso fertile un’anziana donna sterile e ha reso madre una donna vergine. Si incontrano l’Antico e il Nuovo Testamento. Le due donne incinte incarnano l’attesa e l’Atteso. L’anziana Elisabetta simboleggia Israele che attende il Messia; mentre la giovane Maria porta in sé l’adempimento di tale attesa, a vantaggio di tutta l’umanità.
Ma prima ancora, sono i due cuginetti che esultano, nel riconoscersi parte di un grande disegno di Dio. L’esultanza di Giovanni nel seno di Elisabetta esprime l’esaurimento vincente dell’attesa: Dio sta per mandare l’ultimo dei profeti, che indicherà al mondo il Messia. Nell’Annunciazione, l’Arcangelo Gabriele aveva parlato a Maria della gravidanza di Elisabetta (Lc 1, 36) come prova della potenza di Dio: la sterilità, a discapito dell’età avanzata, si era tramutata una mistica e dolce attesa di un lieto evento. Elisabetta, ricevendo Maria, riconosce che si sta realizzando la promessa di Dio all’umanità.
L’espressione “benedetta tu fra le donne” non è una novità perché ricorre due volte nell’Antico Testamento, in riferimenti a due donne guerriere: Giaele (Gdc 5,24) e a Giuditta (Gdt 13,1), le quali lottavano per salvare Israele. Ora invece è una vergine portatrice di una pace, pacifica ma potente, che riceve un saluto sommamente benedicente, perché sta per generare il Salvatore.
Anche il sussulto di gioia di Giovanni (Lc 1, 44) richiama la danza festosa che il re Davide fece, quando accompagnò l’ingresso dell’Arca dell’Alleanza in Gerusalemme (cfr 1 Cr 15,29). L’Arca, che conteneva le tavole della Legge, la manna e lo scettro di Aronne, (cfr Eb 9,4) era il segno della presenza di Dio in mezzo al suo popolo. Il nascituro Giovanni esulta di gioia davanti a Maria, Arca della nuova Alleanza, che porta in sé l’unigenito del Padre.
La scena della Visitazione avvalora massimamente la bellezza dell’accoglienza, che deve caratterizzare il nostro Natale, nell’edificare Sacre Famiglie. Ecco l’importanza di farsi gli auguri, superando tutte le discordie e le paturnie. Organizzare un pranzo veramente festivo, dove invito anche chi vive nel disagio. Un’usanza frequente, anche nelle famiglie nobili della cristianità, era di invitare un autentico povero alla propria mensa di Natale, per sottolineare che tutto viene dalla misericordia di Dio. Imitiamo anche Elisabetta, che accoglie l’ospite come Dio stesso. La nostra vita è “desiderio di Dio”. Sia sempre vivo, perché senza di esso non si arriva a conoscerlo, senza attenderlo non lo incontreremo, senza cercarlo non lo troveremo.