Sabato 9 novembre 2024

Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete.  Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà».  Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere».  Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù. (Gv 2, 13-22)


San Pietro ci ha svelato un profondo significato simbolico della chiesa intesa come edificio: essa, con le sue pietre poste una sull’altra e distribuite in pareti intorno all’altare, è l’immagine efficace del tempio invisibile formato dalle pietre vive che sono i battezzati, edificati sulla pietra angolare, che è Gesù Cristo: “Carissimi, stringendovi al Signore, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio, anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo” (1Pt 2, 4-5). Sant’Agostino sviluppa questa metafora: “Mediante la fede gli uomini divengono materiale disponibile per la costruzione; mediante il battesimo e la predicazione sono come sgrossati e levigati; ma solo quando sono uniti assieme dalla carità divengono davvero casa di Dio. Se le pietre non aderissero fra loro, se non si amassero, nessuno entrerebbe in questa casa” (Sermone 336).

La Chiesa deve essere, dunque, il segno dell’amore vicendevole tra coloro che spezzano un unico pane. Qui abbiamo l’occasione di riflettere anche su un problema che riguarda le nostre chiese. E’ stato detto: “la spaventosa penuria e indigenza del sacro è il marchio profondo del mondo moderno” (Charles Peguy). Se è però caduto il senso del sacro, ne è rimasta, nell’uomo moderno, la nostalgia, perché l’uomo non può fare a meno di Dio, ha bisogno di qualcosa di “totalmente altro”. Ora un mezzo e un luogo dove dovrebbe essere possibile fare esperienza del sacro è proprio la chiesa intesa come edificio sacro. Nella tradizione latina, il testo classico della liturgia della consacrazione di una chiesa, è l’esclamazione di Giacobbe allorché vide in sogno una scala che univa il cielo e la terra e gli angeli che salivano e scendevano in essa: “Quanto è terribile questo luogo! Questa è proprio la casa di Dio, questa è la porta del cielo!” (Gn 28, 17). “Terribile” non ha qui un significato negativo, ma positivo; significa che esige rispetto, silenzio e venerazione. La chiesa è un luogo terribile, nel senso che è un luogo diverso da tutti, posto, nello stesso tempo, dentro e fuori dal mondo. Quello che è dentro il suo recinto è sacro e quello che è fuori è profano, cioè, alla lettera, “fuori del tempio”. Le chiese cristiane sono, è vero, tempio di Dio incarnato, fatto uomo come noi, ma sono sempre tempio di Dio Onnipotente. Proprio perché si tratta del tempio di Dio fatto carne e che abita in mezzo a noi mediante l’Eucarestia, esso è luogo santo. Quante persone, nel passato, hanno incontrato Dio, semplicemente entrando in una chiesa! Una di esse è stato il poeta Paul Claudel, che ritrovò la fede, entrando un giorno nella cattedrale di Notre Dame a Parigi. “Tutta la fede della chiesa, disse più tardi, entrò quel giorno dentro di me”. Per questo è necessario preservare, o restituire, alle nostre chiese il clima di silenzio, di rispetto e di compostezza che si addice loro. Quello che Gesù diceva del tempio di Gerusalemme vale ancor più per i templi cristiani: “La mia casa è casa di preghiera” (Lc 19, 46). Bisogna stare attenti a non “profanare” la chiesa, a non banalizzarla. Ogni parola inutile, detta ad alta voce come se si fosse sulla pubblica piazza, specie durante le funzioni, è un’offesa alla santità del luogo e diminuisce la capacità che esso ha di favorire l’incontro con Dio. Un profondo silenzio al momento della consacrazione parla più eloquentemente che non tutte le parole. C’è un bel salmo scritto per celebrare la gioia di ritrovarsi nella casa del Signore, ospiti nel suo tempio: “Quanto sono amabili le tue dimore Signore degli eserciti!..Beato chi abita la tua casa: sempre canta le tue lodi…Un giorno nei tuoi atri è più che mille anni altrove” (Sal 84).

 

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