Mercoledì 17 aprile 2024. Questo il consiglio che accompagna, da Aristotele, il pensiero occidentale.
di Michele Brambilla
Per spiegare la virtù della temperanza, Papa Francesco, nell’udienza del 14 aprile, parte dal fatto che «il filosofo Aristotele scrive il suo più importante trattato di etica indirizzandolo al figlio Nicomaco, per istruirlo nell’arte del vivere. Perché tutti cerchiamo la felicità eppure così pochi la raggiungono? Questa è la domanda. Per rispondere ad essa Aristotele affronta il tema delle virtù, tra le quali ha uno spazio di rilievo la enkráteia, cioè la temperanza. Il termine greco significa letteralmente “potere su sé stessi”».
«Questa virtù è dunque la capacità di autodominio, l’arte di non farsi travolgere da passioni ribelli, di mettere ordine in quello che il Manzoni chiama il “guazzabuglio del cuore umano”», prosegue il Papa, fino a ricordare che «il Catechismo della Chiesa Cattolica ci dice che “la temperanza è la virtù morale che modera l’attrattiva dei piaceri e rende capaci di equilibrio nell’uso dei beni creati”. “Essa – prosegue il Catechismo – assicura il dominio della volontà sugli istinti e mantiene i desideri entro i limiti dell’onestà. La persona temperante orienta al bene i propri appetiti sensibili, conserva una sana discrezione, e non segue il proprio istinto e la propria forza assecondando i desideri del proprio cuore” (n. 1809)».
Il temperante «in ogni situazione, si comporta con saggezza, perché le persone che agiscono mosse sempre dall’impeto o dall’esuberanza alla fine sono inaffidabili. Le persone senza temperanza sono sempre inaffidabili. In un mondo dove tanta gente si vanta di dire quello che pensa, la persona temperante preferisce invece pensare quello che dice», altrimenti sono le tendenze, i piaceri, le azioni sregolate a condizionare il pensiero. «La persona temperante sa pesare e dosare bene le parole. Pensa a quello che dice. Non permette che un momento di rabbia rovini relazioni e amicizie che poi solo con fatica potranno essere ricostruite. Specialmente nella vita famigliare», che non è un “ambito degli affetti” radicalmente distinto dalla personalità pubblica e neppure la valvola di sfogo delle tensioni esterne.
«Se la persona temperante sa controllare la propria irascibilità, non per questo la vedremo perennemente con il volto pacifico e sorridente. Infatti, qualche volta è necessario indignarsi, ma sempre nella giusta maniera. Queste sono le parole: la giusta misura, la giusta maniera. Una parola di rimprovero a volte è più salutare rispetto a un silenzio acido e rancoroso»: rimproverare è scomodo, ma talvolta necessario. Se fatto nel modo giusto, a tempo debito saremo ringraziati.
«Il dono del temperante è dunque l’equilibrio, qualità tanto preziosa quanto rara. Tutto, infatti, nel nostro mondo spinge all’eccesso», ma non è affatto vero che «la temperanza rende grigi e privi di gioie»: al contrario, ce le fa gustare meglio, perché comprendiamo fino in fondo cosa significano «lo stare insieme a tavola, la tenerezza di certe amicizie, la confidenza con le persone sagge, lo stupore per le bellezze del creato».
Salutando i pellegrini polacchi, il Pontefice esorta tutti a rinunciare a «ciò che distrugge la vita e la dignità della persona umana». Condannando ancora le guerre in corso, il Santo Padre pensa in particolare ai prigionieri che vengono torturati, ribadendo che «la tortura dei prigionieri è una cosa bruttissima», inumana, e che sia necessario liberarli tutti.