Lunedì 20 febbraio 2023. Dio, insiste il Papa, non è un ragioniere ed esige che anche i suoi discepoli amino senza limiti
di Michele Brambilla
«Le parole che Gesù ci rivolge nel Vangelo di questa domenica», dice Papa Francesco nell’Angelus del 19 febbraio, «sono esigenti e sembrano paradossali: Egli ci invita a porgere l’altra guancia e ad amare perfino i nemici (cfr Mt 5,38-48). È normale per noi amare quelli che ci amano ed essere amici di chi ci è amico; eppure, Gesù ci provoca dicendo: se agite in questo modo, “che cosa fate di straordinario”» rispetto agli altri uomini?
Come spiega lo stesso Pontefice, «“straordinario” è ciò che va oltre i limiti del consueto, che supera le prassi abituali e i calcoli normali dettati dalla prudenza. In genere, noi cerchiamo invece di avere tutto abbastanza in ordine e sotto controllo, in modo che corrisponda alle nostre aspettative, alla nostra misura: temendo di non ricevere il contraccambio o di esporci troppo e poi restare delusi, preferiamo amare soltanto chi ci ama per evitare le delusioni, fare del bene solo a chi è buono con noi, essere generosi solo con chi può restituirci un favore; e a chi ci tratta male rispondiamo con la stessa moneta, così siamo in equilibrio».
Dio, che è amore sovrabbondante, non cerca però l’equilibrio, perché «se restiamo nell’ordinario, nel bilanciamento tra dare e ricevere, le cose non cambiano. Se Dio dovesse seguire questa logica, non avremmo speranza di salvezza», perché i nostri peccati avrebbero una punizione proporzionata, ma non troverebbe spazio la misericordia divina. «Le parole di Gesù, allora, ci sfidano. Mentre noi tentiamo di restare nell’ordinario dei ragionamenti utilitari, Lui ci chiede di aprirci allo straordinario, allo straordinario di un amore gratuito», come è il suo. «Non meravigliamoci di questo. Se Dio non si fosse sbilanciato, noi non saremmo mai stati salvati: è stato lo sbilanciamento della croce che ci ha salvati! Gesù non sarebbe venuto a cercarci mentre eravamo perduti e lontani, non ci avrebbe amato fino alla fine, non avrebbe abbracciato la croce per noi, che non meritavamo tutto questo e non potevamo dargli nulla in cambio. Come scrive l’Apostolo Paolo, “a stento qualcuno è disposto a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe morire per una persona buona. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Rm 5,7-8)», prevenendo le nostre stesse invocazioni.
Il Papa continua a ripetere che, «fratelli e sorelle, il Signore ci propone di uscire dalla logica del tornaconto e di non misurare l’amore sulla bilancia dei calcoli e delle convenienze. Ci invita a non rispondere al male con il male, a osare nel bene, a rischiare nel dono, anche se riceveremo poco o nulla in cambio. Perché è questo amore che lentamente trasforma i conflitti, accorcia le distanze, supera le inimicizie e guarisce le ferite dell’odio».
In particolare, «l’amore di Gesù ci chiede di lasciarci toccare dalle situazioni di chi è provato. Penso specialmente alla Siria e alla Turchia, alle tantissime vittime del terremoto, ma pure ai drammi quotidiani del caro popolo ucraino e di tanti popoli che soffrono a causa della guerra o a motivo della povertà, della mancanza di libertà o delle devastazioni ambientali». Per tutti costoro il Santo Padre chiede una carità attenta ai bisogni di ciascuno e concreta nelle sue realizzazioni, ma sempre con quella “sproporzione” che deve caratterizzare i discepoli di Cristo morto e risorto.