Mercoledì 11 dicembre 2024. L’invocazione non segna solo l’escatologia, ma può essere ripetuta come giaculatoria verso lo stesso Spirito Santo, affinché ci assista nel nostro apostolato quotidiano
di Michele Brambilla
L’udienza dell’11 dicembre si focalizza, dice Papa Francesco, attorno al versetto: «Lo Spirito e la sposa dicono: “Vieni!”» (Ap 22,17). «A chi è rivolta questa invocazione? È rivolta a Cristo risorto. Infatti, sia San Paolo (cfr 1 Cor 16,22), sia la Didaché, uno scritto dei tempi apostolici, attestano che nelle riunioni liturgiche dei primi cristiani risuonava, in aramaico, il grido» maranatha, ovvero “vieni, Signore Gesù”. Si tratta dell’invocazione escatologica (cioè i “tempi ultimi”) che contraddistingue tutt’ora la liturgia della Chiesa. Infatti «ancora oggi, nella Messa, subito dopo la consacrazione, essa proclama la morte e la risurrezione del Cristo “nell’attesa della sua venuta”. La Chiesa è in attesa della» venuta del Signore nella gloria, in cui lo vedremo “senza veli”, come Egli è.
Nell’attesa che «si compia la beata speranza», come recitano i messali romani e ambrosiani, è bene ricordarsi che «questa attesa della venuta ultima di Cristo non è rimasta l’unica e la sola. Ad essa si è unita anche l’attesa della sua venuta continua nella situazione presente e pellegrinante della Chiesa. Ed è a questa venuta che pensa soprattutto la Chiesa, quando, animata dallo Spirito Santo, grida a Gesù: “Vieni!”».
Trascorsi i primi secoli cristiani, «è avvenuto un cambiamento – meglio, uno sviluppo – pieno di significato, a proposito del grido “Vieni!”, “Vieni, Signore!”. Esso non è abitualmente rivolto solo a Cristo, ma anche allo Spirito Santo stesso! Colui che grida è ora anche Colui al quale si grida. “Vieni!” è l’invocazione con cui iniziano quasi tutti gli inni e le preghiere della Chiesa rivolti allo Spirito Santo».
Questa presenza del Signore ci è altrettanto necessaria della presenza reale eucaristica e del trionfo escatologico. «Lo Spirito Santo è la sorgente sempre zampillante della speranza cristiana. San Paolo ci ha lasciato queste preziose parole: “Il Dio della speranza vi riempia, nel credere, di ogni gioia e pace, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo” (Rm 15,13). Se la Chiesa è una barca, lo Spirito Santo è la vela che la spinge e la fa avanzare nel mare della storia, oggi come in passato», sostiene infatti il Pontefice.
«Speranza non è una parola vuota, o un nostro vago desiderio che le cose vadano per il meglio: la speranza è una certezza, perché è fondata sulla fedeltà di Dio alle sue promesse», puntualizza Francesco. La Speranza è una virtù teologale «perché è infusa da Dio e ha Dio per garante. Non è una virtù passiva, che si limita ad attendere che le cose succedano»: stimola, invece, ad agire perché quanto sperato si realizzi. Se ne deduce che «il cristiano non può accontentarsi di avere speranza; deve anche irradiare speranza, essere seminatore di speranza. È il dono più bello che la Chiesa può fare all’umanità intera, soprattutto nei momenti in cui tutto sembra spingere ad ammainare le vele». Come esorta san Paolo, «“Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi”». Già l’apostolo chiedeva che «questo sia fatto con dolcezza e rispetto» (1 Pt 3,15-16): una cattiva testimonianza è peggio di un esercito di nemici esterni!
Nei saluti il Papa ci tiene a rimarcare che «seguo ogni giorno quanto sta avvenendo in Siria, in questo momento così delicato della sua storia. Auspico che si raggiunga una soluzione politica che, senza altri conflitti né divisioni, promuova responsabilmente la stabilità e l’unità del Paese. Prego, per intercessione della Vergine Maria, che il popolo siriano possa vivere in pace e sicurezza nella sua amata terra, e le diverse religioni possano camminare insieme nell’amicizia e nel rispetto reciproco per il bene di quella Nazione, afflitta da tanti anni di guerra».