Mercoledì 4 ottobre 2023. Il Sinodo sulla sinodalità, inaugurato con una Messa nel giorno di san Francesco, è un processo che non intende sfigurare la dottrina di sempre, ma tradurla per l’uomo d’oggi sapendo andargli incontro con lo sguardo misericordioso di Gesù
di Michele Brambilla
La mattina del 4 ottobre, in Italia solennità del patrono san Francesco d’Assisi, Papa Francesco inaugura con una Messa il tanto atteso Sinodo sulla sinodalità. L’omelia parte dalla constatazione che «il Vangelo che abbiamo ascoltato è preceduto dal racconto di un momento difficile della missione di Gesù, che potremmo definire di “desolazione pastorale”: Giovanni Battista dubita che sia davvero lui il Messia; tante città che ha attraversato, nonostante i prodigi compiuti, non si sono convertite; la gente lo accusa di essere un mangione e un beone, mentre poco prima si era lamentata del Battista perché era troppo austero». Sembra di vedere le molte contese interne alla Chiesa di oggi, «tuttavia vediamo che Gesù non si lascia risucchiare dalla tristezza, ma alza gli occhi al cielo e benedice il Padre perché ha rivelato ai semplici i misteri del Regno di Dio: “Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli” (Mt 11,25)».
I piccoli citati nel Vangelo sono la premessa di quel sensus fidelium, appartenente a tutti i cattolici, che consente l’apertura di un sinodo nel quale, per la prima volta, il diritto di voto non sarà riservato solo ai vescovi. «E non ci serve uno sguardo immanente, fatto di strategie umane, calcoli politici o battaglie ideologiche – se il Sinodo darà questo permesso, quell’altro, aprirà questa porta, quell’altra – questo non serve», rimprovera il Papa attaccando frontalmente le polemiche e le utopie che hanno contrassegnato la fase preparatoria dell’assemblea. Infatti «non siamo qui per portare avanti una riunione parlamentare o un piano di riforme. Il Sinodo, cari fratelli e sorelle, non è un parlamento. Il protagonista è lo Spirito Santo», ovvero Dio stesso, che agisce nella sua Chiesa attraverso tutte le componenti del Corpo mistico di Cristo.
Di fronte a coloro che paventano deragliamenti dottrinali, Francesco cita «San Giovanni XXIII: “È necessario prima di tutto che la Chiesa non distolga mai gli occhi dal sacro patrimonio della verità ricevuto dagli antichi; ed insieme ha bisogno di guardare anche al presente, che ha comportato nuove situazioni e nuovi modi di vivere, ed ha aperto nuove vie all’apostolato” (Discorso per la solenne apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, 11 ottobre 1962)», per poi proseguire con Benedetto XVI: «“la questione per noi è: Dio ha parlato, ha veramente rotto il grande silenzio, si è mostrato, ma come possiamo far arrivare questa realtà all’uomo di oggi, affinché diventi salvezza?” (Meditazione nella I Congregazione generale della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, 8 ottobre 2012)». L’obbiettivo rimane, quindi, quello di tradurre la Tradizione nel linguaggio della nostra epoca, ovvero la nuova evangelizzazione e la nuova inculturazione, «per essere una Chiesa che guarda con misericordia l’umanità. Una Chiesa unita e fraterna – o almeno che cerca di essere unita e fraterna –, che ascolta e dialoga; una Chiesa che benedice e incoraggia, che aiuta chi cerca il Signore, che scuote beneficamente gli indifferenti, che avvia percorsi per iniziare le persone alla bellezza della fede. Una Chiesa che ha Dio al centro e che, perciò, non si divide all’interno e non è mai aspra all’esterno», ma anche «una Chiesa che rischia con Gesù. Così Gesù vuole la Chiesa, così vuole la sua Sposa».