Domenica 28 gennaio 2024. Il diavolo, dice il Papa, vuole l’uomo schiavo; Dio ci ha creato per la libertà
di Michele Brambilla
«Il Vangelo odierno ci presenta Gesù mentre libera una persona posseduta da uno “spirito maligno”», spiega Papa Francesco introducendo l’Angelus del 28 gennaio. L’indemoniato si contorceva sotto le sue catene invisibili.
«Incatenarci l’anima: questo vuole il diavolo. E noi dobbiamo stare attenti alle “catene” che ci soffocano la libertà», quella libertà per la quale il Signore ci ha creato e che Gesù, l’Unigenito del Padre, è venuto a restituirci.
Sono tante le catene con le quali il diavolo cerca di avvincere l’umanità, «penso alle dipendenze, che rendono schiavi, sempre insoddisfatti, e divorano energie, beni e affetti; penso alle mode dominanti, che spingono a perfezionismi impossibili, al consumismo e all’edonismo, che mercificano le persone e ne guastano le relazioni. E altre catene: ci sono le tentazioni e i condizionamenti che minano l’autostima, la serenità e la capacità di scegliere e di amare la vita; un’altra catena: la paura, che fa guardare al futuro con pessimismo, e l’insofferenza, che getta la colpa sempre sugli altri; e poi c’è la catena molto brutta: l’idolatria del potere, che genera conflitti e ricorre ad armi che uccidono o si serve dell’ingiustizia economica e della manipolazione del pensiero», elenca il Papa con precisione.
Ma «Gesù è venuto a liberarci da tutte queste catene. E oggi, alla sfida del diavolo che gli grida: “Che vuoi […]? Sei venuto a rovinarci?” (v. 24), risponde: “Taci! Esci da lui!” (v. 25). Gesù ha il potere di cacciare via il diavolo» e ci insegna a vincerlo con risolutezza, senza dialogarci. «Cosa fare allora quando ci sentiamo tentati e oppressi? Negoziare con il diavolo? No, non si negozia con lui. Dobbiamo invocare Gesù: invocarlo lì, dove sentiamo che le catene del male e della paura stringono più fortemente»: proprio lì il Signore interverrà con la sua forza liberante.
Assieme al Pontefice si affacciano due ragazzi dell’Azione Cattolica, giunti a S. Pietro con la tradizionale Carovana della pace. Francesco ricorda le guerre all’ordine del giorno, ma anche che «ormai da tre anni il pianto del dolore e il rumore delle armi hanno preso il posto del sorriso che caratterizza la popolazione del Myanmar. Mi unisco perciò alla voce di alcuni Vescovi birmani, “affinché le armi della distruzione si trasformino in strumenti per crescere in umanità e giustizia”».
«Esprimo la mia vicinanza alla comunità della chiesa di Santa Maria Draperis a Istanbul», officiata da frati francescani italiani, «che durante la Messa ha subito un attacco armato che ha provocato un morto e diversi feriti» tra i fedeli.
Il Santo Padre non vuole, però, concludere l’Angelus con una nota di mestizia. Rivolgendosi ai ragazzi dell’ACR romana, rammenta loro che «siete venuti al termine della» succitata «“Carovana della Pace”, durante la quale avete riflettuto sulla chiamata ad essere custodi del creato, dono di Dio. Grazie per la vostra presenza! E grazie per il vostro impegno» nella costruzione di un mondo migliore.